Discussione generale DDL S.299 – XIX Legislatura – Partecipazione iniziative Nato e Servizio sanitario Calabria
Sig. Presidente, Onorevoli colleghi,
siamo chiamati a stabilizzare gli effetti di un atto governativo nell’ordinamento, altrimenti circoscritto al sessantesimo giorno della sua pubblicazione. Il Decreto Legge 8 novembre 2022, n.169 in conversione che unisce in un unico provvedimento – il DDL S.299- argomenti che nulla hanno in comune se non “la straordinaria necessità e urgenza”così come novellato nel “ritenuto” del decreto legge in conversione.
Con straordinaria volontà e pervicacia di velocizzare l’iter di approvazione, il provvedimento è stato “zippato” esautorandoci della possibilità di un più approfondito esame in Commissione. La nostra richiesta di audire il commissario della Regione Calabria o anche solo l’Agenas è stata respinta, in nome della straordinaria urgenza.
Prendiamo atto del fatto che voler approfondire, comprendere, ascoltare non è una prerogativa di questo governo.
Eppure, concretamente, stiamo andando a prorogare misure eccezionali per il sistema sanitario della regione Calabria, al fine di garantire il rispetto dei livelli essenziali di assistenza, nonché’ per assicurare il fondamentale diritto alla salute attraverso il raggiungimento degli obiettivi previsti nei programmi operativi di prosecuzione del piano di rientro dai disavanzi sanitari.
Quando parlo di “diritto alla salute”, mi riferisco a un pilastro cristallizzato nella nostra Costituzione, che tutela “la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”
Tuttavia, seguendo un’audizione della Corte dei conti, tenutasi il 27 ottobre 2021 presso la Commissione per l’attuazione del federalismo fiscale, abbiamo appreso, dalla Magistratura Contabile, che “Il sistema sanitario non è in grado di garantire su tutto il territorio nazionale un’assistenza uniforme, per quantità e qualità”.
Secondo la Corte, la spesa sanitaria corrente riconosciuta al Sud è arrivata a toccare – più recentemente – i 2046 euro pro capite, a fronte dei 2152 euro attributi al Centro-Nord.
Quindi, ogni meridionale ha percepito 106 euro in meno rispetto al cittadino centrosettentrionale.
Spiegate in altre parole, se ciascuno dei 20 milioni di cittadini del Mezzogiorno (escludendo le isole) avesse percepito quei 106 euro in più, il Sud avrebbe potuto contare su 2,2 miliardi di euro ulteriori.
Al fine di garantire che l’obiettivo del raggiungimento dell’equilibrio economico finanziario da parte delle regioni sia conseguito nel rispetto della garanzia della tutela della salute lo Stato concorre al ripiano dei disavanzi attraverso i cosiddetti Piani di rientro che nascono con la Legge finanziaria del 2005 (Legge 311/2004) e sono allegati ad accordi stipulati dai Ministri della salute e dell’economia e delle finanze con le singole Regioni.
I Piani devono contenere sia le misure di riequilibrio del profilo erogativo dei Livelli essenziali di assistenza (LEA) per renderle conformi con la programmazione nazionale e con il vigente decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di fissazione dei LEA, sia le misure per garantire l’equilibrio di bilancio sanitario.
Piani di Rientro, affidati ai Commissari, sono accordi tra lo Stato e le regioni che registrano disavanzi di una certa entità nei conti della sanità e sono stati sottoscritti per la prima volta da alcune regioni a partire dal 2007.
Il Commissariamento delle Sanità Regionali è dunque la cartina di tornasole del fallimento di una riforma che ha frammentato la Sanità nazionale in 20 diversi e poco uniformi Sistemi sanitari.
E così s’è creato un Paese che corre a due velocità, negando diritti essenziali a milioni di cittadini.
Basti pensare che nel 2017, oltre un milione di meridionali ‘sono migrati’ in cerca di cure, spendendo 4,6 miliardi di euro. Ad esempio, solo nel 2019, i campani e i calabresi hanno speso rispettivamente 340 e 221 milioni di euro, attratti dalle cure della sanità lombarda, veneta, emiliana e piemontese.
Addirittura ogni anno il 50% dei siciliani si fa curare al Settentrione. Parliamo di 67.000 ricoveri fuori-regione per pazienti oncologici!
Analizzando i dati del “Piano Nazionale Esiti”, nel 2020 il 13% degli interventi per curare il tumore al pancreas dei calabresi sono stati condotti in una struttura privata veneta. Analogamente, un quarto dei pazienti pugliesi malati di tumore maligno alla tiroide si è rivolto alle cure extra-regionali
Inoltre, annualmente emigra anche un esercito di ragazzini: secondo uno studio dell’Italian Journal of Pediatrics i bambini meridionali hanno un rischio del 70% più elevato rispetto a quelli del Centro-Nord di farsi curare in altre regioni. Così, nel 2020, il 21% degli interventi pediatrici cardiochirugici sono stati realizzati in Toscana.
Ma a chi giova la mobilità sanitaria? Soprattutto alle case di cura private, che nel 2019 hanno incassato circa 1,6 miliardi di euro.
Ma è ancora di più il fallimento dei governi regionali che hanno utilizzato la sanità come il loro bancomat. E’ un dato consolidato che l’aumento della spesa pubblica sanitaria è avvenuto quasi del tutto fra il 2000 e il 2010, anno in cui la spesa aveva già raggiunto i 113 miliardi con un incremento cumulato rispetto al 2000 pari al 65 per cento, corrispondente ad un tasso di crescita medio annuo del 5 per cento, ben superiore a quello del Pil. Questi andamenti corrispondevano esattamente agli elevati disavanzi in alcune regioni. E solo per citare alcuni di questi disavanzi che hanno richiesto Piani di Rientro, hanno interessato le Regioni: PIEMONTE e PUGLIA nel 2010, LAZIO, ABRUZZO, LIGURIA, MOLISE, CAMPANIA, SICILIA E SARDEGNA nel 2007 e appunto CALABRIA nel dicembre del 2009 e ancora oggi, nel 2022, che proroghiamo un nuovo Commissariamento. Attualmente 7 Regioni sono commissariate, un terzo delle regioni italiane, ma se sommiamo la popolazione residente, ammonta a 25 milioni. Quasi metà della popolazione italiana è in regime di commissariamento per la Sanità.
La presenza di un “controllore” esterno che impone di non finanziare ex post i disavanzi accumulati se da una parte spinge le regioni ad intervenire maggiormente per controllare la spesa, dall’altra comprime i diritti dei cittadini di quelle regioni commissariate ad ottenere prestazioni uniformi su tutto il territorio nazionale.
E’ paradossale che pochi anni dopo la riforma del titolo V della Costituzione che affida alle regioni la Sanità, la spesa pubblica sanitaria regionale sia esplosa in molte Regioni determinando una torsione della Legge 883 del 1978 che ha istituito il SSN e che si basa su tre principi cardine: l’universalità, l’uguaglianza e l’equità.
Oggi a distanza di 44 anni da una visione unitaria e unitiva del SSN, le differenze di accesso ai servizi, le disuguaglianze sanitarie di accesso alle cure, la stessa possibilità di introduzione da parte delle Regioni, con risorse proprie, di garantire prestazioni ulteriori rispetto a quelle incluse nei LEA, ha introdotto un principio di competizione che svilisce i concetti di uguaglianza, equità e universalità su cui si fonda l’istituzione del SSN.
La fragilità del Titolo V della Costituzione s’è manifestata proprio nei mesi più tragici della pandemia, mesi in cui s’è accesa un’attenta riflessione in sede parlamentare: da più fronti s’è chiesto di restituire allo Stato la cabina di regia della sanità nazionale.
A tal proposito, ricordo che è stata proprio la Corte dei Conti, in sede d’audizione, a evidenziare come nelle regioni sottoposte a controllo ministeriale il deficit sanitario fosse diminuito, mentre nelle regioni che beneficiavano di maggiore autonomia e libertà di spesa, il deficit fosse raddoppiato.
Un vento unanime che ha spinto la nostra ex Vicepresidente del Senato, la Senatrice Paola Taverna (con un appoggio di un numero incredibile di colleghi) a depositare un disegno di legge con l’obiettivo di procedere ad un’attenta riforma del Servizio Sanitario Nazionale, conferendo maggiori poteri allo Stato e rivedendo parte del titolo V.
Eppure, c’è ancora chi invoca la concessione di ulteriori forme di autonomia!
In verità, l’unica straordinaria necessaria urgenza del nostro Paese è ridare centralità al Sistema Sanitario Nazionale, l’unica urgenza è poter avere le stesse possibilità di vivere bene e in salute, in Calabria come in Piemonte, l’unica vera urgenza è applicare il piano nazionale delle liste di attesa, l’unica urgenza dovrebbe essere quella di avere una sanità privata convenzionata che è integrativa di quella pubblica e non sostitutiva, è, in definitiva una contro-riforma del titolo V della Costituzione e, invece, questo esecutivo, questa maggioranza vuole dare priorità a riforme che ulteriormente ricadrebbero proprio su questi 25 milioni di cittadini andando ad intaccare i meccanismi di perequazione finalizzati al SSN sbilanciando così, a favore delle Regioni più ricche, le risorse finanziare destinate al riparto sanitario delle Regioni
In conclusione, pur comprendendo la necessità di prorogare un commissariamento per ripristinare le garanzie di tutela della salute non potevamo esimerci dall’evidenziare come tale provvedimento rappresenti un segno patologico del sistema del regionalismo sanitario che meriterebbe una profonda e coraggiosa trasformazione.